domenica 5 febbraio 2017

Lion – la strada verso casa (Garth Davis, 2016)

Le possibilità sono due: o l'altra sera al cinema c'era una casuale massiccia concentrazione di raffreddati, o metà della sala stava già singhiozzando a meno di metà film.
D'altronde questa storia prometteva lacrime sin dal trailer (che tuttavia non c'entra nulla col film... strano, vero?) e io stessa mi aspettavo quella tipica enfatizzazione del dramma per fini più commerciali che narrativi, invece sono stata felice di potermi ricredere, soprattutto per quanto riguarda la sua prima metà.
Tratto da un fatto realmente accaduto Lion parla di Saroo, bambino indiano che una trentina di anni fa viveva in povertà in una piccola cittadina, con la madre, una sorellina e un fratello maggiore. Una notte, seguendo il fratello che esce per cercare di guadagnare qualcosa, gli succede di addormentarsi dentro un treno che di lì a poco sarebbe partito. Saroo si ritrova a Calcutta, ad alcuni giorni di viaggio da casa sua e dove nessuno parla la sua lingua.
Tutto il primo tempo lo passiamo con Saroo bimbo, smarrito e spaventato. Il regista lo racconta dal suo punto di vista, con la camera spesso ad altezza bambino a mostrarti come grande diventi grandissimo e cattivo sia tragicamente incomprensibile quando sei piccolo.
Saroo era piccolo in ogni senso. Il dramma è che lo spettatore lo sa meglio del minuscolo protagonista quali mostri lo inseguono. (e qui le lacrime di cui sopra)
Questa prima parte è un racconto cinematografico bello e genuino, la musica è l'unica cosa che ho trovato un po' troppo enfatica. Anche il passaggio alla seconda parte è ben costruito, in effetti. Il bimbo, anche se molto più tardi di quando avrebbe dovuto, trova finalmente l'aiuto di un adulto e la sua vita ricomincia in una famiglia adottiva, in Australia. Qui anche la fotografia (candidata all'oscar) si tinge di colori diversi, perché il mondo che deve raccontare è lontano, sempre più lontano dalla casa d'origine di Saroo. È in quel mondo che il bambino cresce e comincia a smettere di pensare a tutto ciò che ha passato.
Entrando poi nella seconda parte del film tutto diventa meno compatto e più diluito. Sono passati vent'anni dall'adozione e ora Saroo è grande e cerca la sua strada nel mondo, ma quel suo passato irrisolto e ingombrante, anche se quasi dimenticato, lo porta inevitabilmente ad un vicolo cieco. Solo riuscendo a tornare indietro potrà infine andare avanti.
Qui la sceneggiatura (candidata all'oscar) avrebbe potuto sfruttare due o tre tematiche davvero interessanti e che avrebbero fatto da chiosa perfetta a quell'inizio racconto. Invece preferisce inserire nuovi temi, che però vengono diluiti anziché delineati con lo stesso carattere che ha la prima parte: come la relazione con la fidanzata (importante, ma annacquata) o la ricerca con Google Earth per ritrovare casa.
Eppure, come dicevo, di temi forti ne erano già stati messi in tavola parecchi. Uno su tutti quello dell'adozione, raccontato attraverso la figura della madre australiana, un personaggio complesso interpretato da una sempre perfetta NicoleKidman (candidata all'oscar) che hanno però ridotto a poche apparizioni. Sono solo alcune brevi scene, ma sufficienti a farmi capire che quella mamma era una parte importante della storia. Quella mamma che me ne ha tanto ricordata un'altra apparsa di recente sul grande schermo: la linguista di Arrival. Sono due donne che hanno fede nel loro futuro, conoscono la strada che le attende e sanno che il percorso sarà duro, ma è il loro percorso, solo così saranno in pace e conosceranno la bellezza della vita; solo abbandonandovisi e scegliendola comunque.

4 commenti:

  1. Me lo aspettavo anch'io più stucchevole, più strappalacrime, e invece mi è piaciuto. Mi ha commosso, sì, ma era giusto e inevitabile dato una storia così miracolosa, così necessaria. Resterà a bocca asciutta, ma bravi, tutti. :)

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    1. Sì forse non vincerà nulla, ma Nicole Kidman per me è spettacolare (non era un ruolo facile e nemmeno il suo solito.. però non ho ancora visto nessuna delle interpretazioni in competizione con la sua

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  2. Inaspettatamente mi è piaciuto tantissimo, la prima parte è veramente ben fatta, interamente giocata sull'espressività del pargoletto. La seconda l'ho trovata un po' più banale e strascicata e sì, anche io avrei preferito una presenza più sostanziosa della Kidman, davvero toccante. Per inciso, ho pianto anche io come una demente, all'inizio e alla fine e ti dirò di più: hanno pianto anche le mie colleghe quando ieri ho fatto il "cineracconto" al lavoro XD

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    1. Allora siamo sulla stessa lunghezza d'onda! Addirittura hanno pianto al solo racconto? Bhe è indubbiamente una storia commovente

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