giovedì 29 settembre 2016

Lo chiamavano Jeeg Robot (Gabriele Mainetti, 2016)


Il cinema ha bisogno di eroi.
Forse ancor più ha bisogno di gente che creda negli eroi.
A volte pare che gli italiani vadano al cinema preferibilmente per vedere proiettate e amplificate le proprie povertà, le proprie inettitudini o i drammi della vita. Non è una cosa brutta, è il segno che siamo esseri umani, ma puntare solo su questo non è fare cinema.
Gabriele Mainetti con il suo Lo chiamavano Jeeg Robot sa che sta parlando ad una maggioranza che appartiene a questo genere di pubblico, ed è da qui che parte per proporre poi qualcosa che va in tutt'altra direzione. Perché il cinema ha davvero bisogno di eroi, deve aiutare le persone ad andare oltre; o si riduce a puro anestetico per la mente e l'arte muore.
Così Mainetti ci racconta di Enzo Ceccotti, un miserabile ladruncolo della provincia romana che, entrando per caso a contatto con un materiale radioattivo, acquista una super forza. Poi c'è lo Zingaro, un piccolo malavitoso che ha l'ossessione di diventare un super cattivo. Enzo invece non aveva previsto di diventare un eroe e quando le circostanze glielo domanderanno la super forza non gli basterà, avrà bisogno di un forte incoraggiamento, gli servirà qualcuno che lo creda un eroe, anzi che lo creda un super eroe. Non saranno le radiazioni a cambiarlo nel profondo, ma l'amore e la fiducia di Alessia.
Se è vero che Lo chiamavano Jeeg Robot non è un dramma all'italiana, è altrettanto giusto dire che non è un film di supereroi. Non lo è perché non ne riprende pedissequamente tutti i topoi e soprattutto non ne riprende l'epica e il rivolgersi prettamente ad un pubblico giovane.
Invece questo film è un insieme di citazioni ben orchestrate, contestualizzate, scelte con criterio, un collage che inizia dal film sulla malavita e dal dramma all'italiana, passa per il grottesco e il pulp e arriva al cinefumetto. Alcuni riferimenti sono così espliciti che non è nemmeno necessario citarli, ma qui vengono calati in un discorso tematico completamente diverso e coerente col racconto; la mazza da baseball di Al Capone ne Gli Intoccabili diventa uno smartphone e un crimine commesso a ritmo di musica, immagine alla Kubrick, viene ripreso per essere pubblicato sui social.
Lo chiamavano Jeeg Robot non è un capolavoro di perfezione, qualche limata qua e là non gli avrebbe fatto certo male. La parte di super dramma esistenziale, per esempio, riversata nel personaggio della protagonista femminile, viene forse spinta un po' troppo all'eccesso, ma in un giudizio complessivo questo film vince. Questo film può definirsi una novità, fosse anche solo per il fatto che alle logiche di marketing che si appiccicano quasi sempre a certe produzioni lui non cede e riesce comunque ad avere un buon successo di pubblico.
É un film pensato con passione in ogni suo aspetto, il cast è eccellente e ben diretto (Luca Marinelli!!), tutto questo per un cinema che ne aveva davvero bisogno.
Questo è un punto di partenza, la dimostrazione che si più osare di più. Aspettiamo con ottimismo l'evolversi di questo filone!

sabato 24 settembre 2016

Cosa ne dite di Man in the dark?

Cosa ne dite di Man in the dark?



Due parole da parte mia:

A mio parere funziona solo grazie a regia e fotografia! Molto buone!
Per il resto, la sceneggiatura non è priva di difetti e a tratti funziona proprio poco.
Per esempio l'iniziale concentrarsi sui personaggi e sulle loro storie poi risulta non necessario per tutto il resto del film. É evidente che l'idea era invece di sfruttare anche l'empatia con le storie dei protagonisti, ma fallisce, non funziona proprio. Funziona l'azione, ma funzionerebbe con qualsiasi altro trio di personaggi. Serviva forse un maggiore lavoro di lima.

Inoltre vi avviso: non guardate il trailer prima del film! O quei pochi spunti interessanti che potrebbero sorprendervi e in alcuni casi creare la voluta atmosfera thriller vi verranno completamente anticipati e così rovinati. 
C'è da dire che non si può dare ogni colpa al trailer. Secondo me se un film del genere funziona, allora funziona anche in caso alcuni passaggi e alcune situazioni vengano anticipati. Non era questo il caso.

Bridget Jones's Baby

Bridget Jones arrivava al cinema con successo nel 2001 e all'epoca si guadagnava una posizione di rispetto nel panorama della commedia romantica. Non stento a crederlo!
C'erano quelle due o tre note estremamente dissacranti a rinfrescare il genere; poi c'era un'ottima Reneè Zellweger che dava vita sullo schermo all'amato personaggio che era un'originale e ben disegnata Lizzy Bennet del neonato ventunesimo secolo; e infine c'erano due controparti maschili come Hugh Grant e Colin Firth a completare un trio decisamente funzionante.

Riguardo al secondo capitolo, classica operazione sequel uscita nelle sale tre anni dopo, non ho commenti da fare.

Nel 2016 invece arriva il figlio di Bridget: Bridget Jones's baby.

Nessuno ne sentiva la mancanza. Diciamolo.
Tuttavia alla fine lo hanno prodotto e non si può certo dire che lo abbiano fatto coi piedi.
La gente in sala si è divertita molto, mi ha fatto piacere constatarlo, ma bisogna essere critici comunque e anzi a maggior ragione.

Cosa funziona davvero in questo terzo capitolo?
Emma Thompson, senz'altro da aggiungere!

Cosa invece funziona meno? Molte cose, ma ne sceglierò soltanto una in rappresentanza.
La voce commento di Bridget! Era caratteristica e punto di forza del primo film, era intelligentemente ironica, era politicamente scorretta in tempi non sospetti (quando ancora non era main stream esserlo). In questo film è semplicemente insulsa e finisce per risultare solo odiosa.
L'ideatrice originale del personaggio è ancora co-sceneggiatrice per questo terzo episodio, davvero nemmeno lei riesce a copiare bene sé stessa?

Alla fine di questo breve commento un voto per questo film non ce l'ho, anche se non è stata una visione spiacevole, sono andata al cinema solo perché non pagavo il biglietto ;-)