Arrival
è il nuovo film di Denis Villeneuve. É fantascienza. E a
questo punto possiamo dirlo con una sicurezza in più: Denis, per
quanto è possibile, siamo tutti un po' più speranzosi riguardo al
nuovo Blade Runner! Non deluderci.
Dodici ufo identici arrivano sulla Terra in dodici diversi punti del mondo. Inizialmente non sembrano voler tirare fuori raggi disintegratori o simili, per cui gli americani, come se cose del genere accadessero tutti i giorni, sono prontissimi ad un'operazione militarmente organizzata per tentare una comunicazione con gli ospiti. Gentili seppioloni, motivo della visita? Affari o piacere?
Per
l'ardua impresa vengono convocati sul luogo dell'atterraggio
statunitense un fisico e una linguista esperti.
(rispettivamente JeremyRenner e Amy Adams)
Raccontata
così sembrerebbe la trama di un nuovo Indipendence Day, non
vi pare? Eppure Arrival non è quel genere di film. Infatti
deve molto di più ad un Interstellar come
genere, stile e tematiche, ma se in quel caso c'era il brivido del
viaggio spaziale, qui il viaggio
è puramente emozionale, i piedi restano per terra, il comparto
effetti speciali e quello scenografia non si sono dovuti inventare
pianeti di altre galassie, ma il potere della fantascienza,
quello di portarti in uno spazio potenzialmente sconfinato e farti
conoscere l'uomo in un numero quasi infinito di alieni, c'è tutto.
Il
film, che procede inizialmente adagio, una sorpresa dopo l'altra,
beneficia di quella affascinante suspense a ritmo lento di
Villeneuve e ti fa assaporare in maniera testardamente piena e
sentita l'inizio di una storia già sentita più volte: il
primo contatto con la creatura aliena. Siamo insieme alla Adams, e
nel realizzare che presto vedremo l'alieno per la prima volta temiamo
con lei. Poi, grati al capo delle operazioni per aver dato voce ai
nostri dubbi, la ascoltiamo mentre ci fa presente la complessità del
linguaggio e quanto questo sia profondamente legato al nostro modo di
essere, probabilmente diversissimo rispetto a quello degli alieni.
Infine gioiamo dei sui progressi e anche questi li viviamo alla stessa
maniera, uno per uno, per tutto il primo tempo.
Arriva
il secondo tempo: cosa sono venuti a fare sulla terra? Ora
magari siamo già in grado di chiederglielo, di fare un tentativo.
Forse siamo giunti alla fine dell'avventura, all'epilogo. Oppure
potrebbe essere solo l'inizio. In fin dei conti, che abbiano buone o
cattive intenzioni, prima o poi gli alieni se ne andranno, prima o
poi il film finirà, eppure quell'incontro ci avrà cambiato per
sempre.
Così
è la vita, così è il fatto che possiamo comunicare con il
prossimo, il fatto che possiamo abbracciarci per dirci che ci
vogliamo bene, che potremmo imparare a comunicare in maniera
nuova e questo ci farebbe nuovi.
Il
film secondo me non è una torre incrollabile, se lo sceneggiatore
lo avesse pensato qualche giornata in più avrebbe potuto far
risaltare meglio il personaggio di Renner, oppure avrebbe potuto dare
equo spazio ad ognuno degli interessantissimi pezzetti di sotto
trama, o un gusto più accattivante ad alcuni dei dialoghi.
Tuttavia
vien da dire questo solo ripensandoci a freddo, perché il film
emoziona e cattura dall'inizio alla fine con una regia
solida e penetrante e un'estetica semplice, a cui non servono
i colori della galassia, per portare l'universo nel film.
“Era
tutto molto bello, su quella scaletta... e io ero grande con quel bel
cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi che sarei sceso,
non c'era problema.
Non è quello che vidi che mi fermò, Max
È quello che non vidi.
Puoi capirlo? Quello che non vidi... In tutta quella sterminata città c'era tutto tranne la fine.
C'era tutto.
Ma non c'era una fine. Quello che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.
Tu pensa a un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quegli 88 tasti la musica che puoi fare è infinita.
Questo a me piace. In questo posso vivere.
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai... Quella tastiera è infinita.
Ma se quella tastiera è infinita allora su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. E sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.”
Non è quello che vidi che mi fermò, Max
È quello che non vidi.
Puoi capirlo? Quello che non vidi... In tutta quella sterminata città c'era tutto tranne la fine.
C'era tutto.
Ma non c'era una fine. Quello che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.
Tu pensa a un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quegli 88 tasti la musica che puoi fare è infinita.
Questo a me piace. In questo posso vivere.
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai... Quella tastiera è infinita.
Ma se quella tastiera è infinita allora su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. E sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.”
(Novecento,
A. Baricco)
Concordo. Non esente da difetti, però davvero coinvolgente!
RispondiEliminaA Renner più che altro avrei cambiato quella dannata battuta finale...
Già, non gli fanno fare una gran figura ;)
EliminaSì bello non pensarlo e rimanerci sorpresi! Un suo punto di forza. :)
RispondiEliminaSPOILER ALLERT:
RispondiElimina5° assioma - Le comunicazioni possono essere di tipo simmetrico, in cui i soggetti che comunicano sono sullo stesso piano (ad esempio due amici), e di tipo complementare, in cui i soggetti che comunicano non sono sullo stesso piano (ad esempio la mamma con il figlio). (P.Watzlawick)
Una delle cose che ho apprezzato di più di questo film è il modo in cui gli alieni si sono posti nei confronti degli umani. Per tutto il primo tempo ho ammirato la bravura degli scienziati umani nel tentare di "insegnare" una lingua agli alieni, per poter avere un canale comunicativo comune. Solo successivamente ho capito che gli alieni stavano insegnando agli umani, e lo hanno fatto semplicemente palendosi in 12 posti del pianeta e creando le condizioni per un dialogo alla pari. È così che nella staticità di alcune scene risalta il primo assioma della comunicazione: è impossibile non comunicare!
BW
Verissimo. e Villeneuve con i suoi movimenti lentissimi, come dici tu quasi statici, sa esattamente come arrivare nella nostra testa e nel nostro cuore. :)
EliminaPs: molto bello il pezzo di "Novecento" che hai citato!
RispondiEliminaBW
Mi sembrava appropriata anche se non l'ho spiegata per evitare troppa lungaggine ;)
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