Otto episodi brevi, scritti da Timothy Greenberg e diretti dai coniugi Jonathan Dayton e Valerie Faris, registi di Little Miss Sunshine. Distribuita su Netflix, ottobre 2019.
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Cosa può esserci di peggio del dover vivere con sé stessi? Probabilmente dover letteralmente convivere con sé stessi.
Invece cosa può esserci di meglio di Paul Rudd in una serie tv? Ovviamente, due Paul Rudd nella stessa serie!
Avete presente quella cosa nella vita in cui inciampate di continuo? È sempre lì, ancora nello stesso posto, medesime dimensioni, eppure vi ostinate a finirci goffamente contro ogni volta. É quel problema che non vogliamo vedere, la tristezza che non vogliamo curare, un dubbio che non vogliamo ammettere, sono le insicurezze per cui non vogliamo chiedere aiuto. Proprio come una credenza vintage parcheggiata in un corridoio pensando che diventerà il simbolo dell’unione della propria famiglia e invece è solamente un ostacolo contro cui sbattere e motivo di battibecchi. Perché un oggetto in fondo non ha nessun potere e credere che ce l’abbia è solo un modo per sollevare sé stessi dalla responsabilità di trovare la forza. (Fucking credenza!)
Adoro, in un film o una serie, l’attenzione per questi piccoli dettagli simbolici che fanno da sottotitolo ad una situazione concreta e allegorica allo stesso tempo. Per questo non me la sento di bocciare Living with yourself, perché tenta davvero di fare delle cose carine e voglio vedere se per la seconda stagione (se mai ci sarà) riuscirà a sistematizzarle meglio, perché le carte le avrebbe avute, il punto dolente è come se le è giocate.
Living with yourself è una serie veloce da guardare, otto episodi di una ventina di minuti l’uno. Mi aspettavo una commedia, ma non è del tutto così, è più tendente all’umorismo nero, rimanendo però, purtroppo, un po’ debole in quanto a carattere.
Il protagonista, brillantemente interpretato/i da Paul Rudd, è Miles, un uomo che va verso i quaranta e verso la depressione. Non riesce a trovare soddisfazione nel lavoro, la sua vita familiare è in crisi nera e sostanzialmente sta diventando uno zombie. Un collega gli passa il biglietto di una spa che promette di farti diventare una versione migliore di te stesso, ma quel che invece fanno in quell’esclusivo centro benessere è creare cloni “migliorati”, ed è questa la ragione per cui Miles si troverà costretto a vivere con sé stesso.
Anche se in questo caso la tematica del doppio è resa concreta dalla presenza di un clone, cosa che poteva far presupporre uno sviluppo puramente fantascientifico o comico, è abbastanza chiaro che la serie vorrebbe invece approfondire il concetto dal punto di vista metaforico. E questo è un aspetto interessante, il mix è abbastanza originale, peccato per la realizzazione, che dal punto di vista narrativo è un po’ carente.
Ciò che hanno senz’altro azzeccato è la scelta dell’interprete principale. Paul Rudd, con quel suo amabile faccino è perfetto per invogliare a continuare la visione, anche se onestamente il faccino è un elemento superfluo se paragonato alla sua eccellente eccellente interpretazione! Riesce a dar vita a due personaggi che soprattutto emotivamente sono molto differenti, ma anche fisicamente, ed è vero che trucco, parrucco e costumi sono di aiuto, ma la recitazione è perfetta. C’è da dire che parliamo di un attore che ha già dato ampiamente prova delle sue doti, questa è solo un'ennesima conferma.
Anche la sua controparte femminile non è per niente male, Aisling Bea: un’attrice comica che non conosco, bellissima e con un forte accento irlandese.
Inoltre, visto che siamo arrivati alla lista dei punti lodevoli, anche la realizzazione tecnica è promossa a pieni voti. Soprattutto perché non ho mai avuto quella spiacevole sensazione che un certo taglio fosse forzato per via dell’uso di una controfigura per sdoppiare il caro Paul. I due Miles interagiscono nella stessa inquadratura, fanno a botte, si abbracciano, senza mai mostrare l’escamotage speciale o visivo utilizzato. (Voi direte: voglio anche vedere?! Io dico: mai dare nulla per scontato!)
Dal punto di vista della sceneggiatura c’è invece decisamente troppo disordine: tante sottotematiche aperte, nessuna sviluppata fino in fondo, un po’ di schizofrenia riguardo al tono da assumere nei vari momenti della narrazione, e tanti elementi superflui che anziché concorrere alla buona riuscita, distraggono e confondono.
Sprecato per esempio è il personaggio della sorella di Miles. Il suo inserimento nella storia avrebbe potuto giovare se avesse realmente avuto un ruolo significativo, cosa che non è. Come anche il momento dell’ultimo episodio con gli agenti della FDA (per gli ignoranti come me: la U.S. Food and Drug Administration, che tra le altre cose regolamenta la clonazione animale in America) che non è né abbastanza divertente da diventare momento comico, né funzionale alla storia e risulta infatti un semplice riempitivo.
Detto questo, il peccato più grosso rimane non aver sfruttato al meglio il potere allegorico della vicenda. In fin dei conti la tematica forte, quella su cui si sarebbe dovuto puntare a me risulta molto chiara. Miles deve convivere con una depressione, con una tendenza all’autosabotarsi e con la paura di non essere abbastanza per la sua amata compagna. Dal canto suo Kate, sua moglie, crede anche lei di volere una versione migliore di suo marito, ma non ha fatto i conti col fatto che la rabbia, la frustrazione, la paura, l’aborto, ogni cosa l’ha condivisa con suo marito e non potrebbe volerne un’altra versione, una che non ha vissuto accanto a lei “tutta la loro merda”.
(spoiler alert)
La serie giunge poi ad una conclusione che non è necessariamente felice. A seguito di un epica lotta corpo a corpo Paul Rudd vs Paul Rudd che è, va detto, una sequenza di un certo pregio, Kate entra in scena e fa la sua rivelazione: è incinta. E come spesso accade, giusta o sbagliata che sia questa tendenza umana, una notizia del genere può far sembrare tutto sistemato, soprattutto se disperatamente voluta.
Ma i nodi tornano sempre al pettine, torneranno nella seconda stagione? Non mi è chiaro se per l’autore questo non sia invece un finale conclusivo e lieto, se così fosse io lo troverei un po’ superficiale
Mi lascia inoltre perplessa una cosa, illuminatemi se potete, come può essere incerta la paternità del futuro nascituro, visto che fino a quello stesso giorno il clone non aveva mai avuto rapporti con Kate?
Mi sono forse persa qualcosa? La lezione di biologia per esempio?
Forza, commentate qui sotto, voi l’avete vista? In caso negativo io vi consiglio di farlo anche se non la promuovo, perché ha i sui pregi, ha due Paul Rudd e perché si guarda molto velocemente.
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