domenica 19 marzo 2017

[TRA CINEMA E PITTURA] “Il deserto rosso”: Michelangelo Antonioni incontra Henri Matisse.


Salve a tutti e benvenuti in questo capitolo di "Tra Cinema e Pittura". 
Inizio ringraziando S a m per aver accettato questa collaborazione, nella speranza che il seguente articolo possa in qualche modo dare al blog un contenuto gradevole per i lettori, e magari qualche spunto di riflessione interessante. 

Ho necessità inoltre di introdurre - molto brevemente - il tipo di articolo in questione per chi non ne abbia mai sentito parlare: in "Tra Cinema e Pittura" metto a paragone scene/inquadrature/sequenze di film che prendono ispirazione da opere pittoriche(all'occorrenza scultoree) famose. L'obiettivo è innanzitutto quello di creare un "ponte" tra queste due forme d'arte che hanno molto in comune, e quello di far conoscere opere pittoriche a chi è appassionato di cinema(ovviamente anche far conoscere film a chi è appassionato di storia dell'arte) e di poter mettere in risalto aspetti delle due arti che, messe a paragone, possono rivelarsi ancora più interessanti.




"Il deserto rosso" è il primo film a colori di Michelangelo Antonioni. Il regista dunque decide di strutturare il film sfruttando i colori come veri e propri protagonisti della scena. 
Sono poche le personalità del mondo del cinema che hanno saputo realmente utilizzare il colore per quello che è, e non come semplice qualità di un oggetto. 

Un dato colore comincia ad esistere all'interno di un film laddove cessa di presentarsi come una pura e semplice "qualità del visibile" e si costituisce al contrario come qualità "tout court".


Antonioni gira dunque un film nella quale il protagonista è il "colore esposto", ovvero il colore che il film "estrapola" dall'oggetto. Esso diventa espressione dell'emotività, diventa un personaggio a tutti gli effetti, nel bene e nel male.

Autore: Henri Matisse
TitoloLa stanza rossa(o Armonia in rosso)
Data: 1908
UbicazioneMuseo statale Ermitage, San Pietroburgo
Tecnica: Olio su tela
Dimensioni: 180 x 220 cm

Chi più di Henri Matisse, maggior esponente dei "fauves", può essere accostato al concetto di "colore esposto"?

Il realismo non è di interesse del pittore, il cui unico obiettivo è quello di descrivere uno stato d'animo, abolendo quasi completamente la prospettiva e i piani verticali ed orizzontali attraverso l'uso di una grandissima quantità di rosso estremamente vivido.

Nota: il dipinto era stato inizialmente concepito come "Armonia in verde"(con conseguente fondo verde) e successivamente come "Armonia in azzurro". Matisse, ancora una volta non soddisfatto, decisa di iniziare da capo. Scelse il rosso.

La vastità dello sfondo che occupa gran parte della tela confonde lo spettatore dando l'illusione di un unico piano senza profondità, nel quale lo sguardo si perde tra le varie decorazioni che sono dislocate nell'intero dipinto come in un grande tappeto(non a caso i fauves, e Matisse in particolare, sono stati gli artisti che più hanno avuto a che fare con l'arte africana/persiana). 

Il soggetto di un quadro è il suo sfondo hanno lo stesso valore.


La confusione lascia spazio alla tranquillità nel momento in cui vengono accettati i presupposti anti-realisti del dipinto, che si trasforma in una grandissima suggestione, che porta ad una particolare calma e serenità della scena. Tutto ciò che vediamo infatti è predisposto per essere quanto più accogliente ed armonioso possibile("Armonia in rosso", appunto), e l'annullamento della profondità unito alla semplificazione del tratto(le linee sinuose delle decorazioni richiamano quelle degli alberi, del corpo della cameriera, per esempio) e del colore(puro, senza chiaroscuri e quasi totalmente facente parte delle tonalità vicine ai colori primari) dona al dipinto un'aria "domestica", calda e colloquiale.

Riporto ogni soggetto ai sentimenti umani.


Lo studio del colore come elemento espressivo e non qualitativo dell'oggetto vede in Matisse uno dei suoi più grandi realizzatori. Il suo processo di "semplificazione"(per comprendere meglio si dia un'occhiata alla successione dei seguenti 3 dipinti, rispettivamente degli anni 1894, 1899, 1905: "Donna che legge", "Natura morta con arance", "Donna con cappello") del tratto e di assolutizzazione del colore ha dato vita ad una vera e propria concezione del colore come veicolo di sensazioni. Un vero e proprio "sentimento dello spazio mediante il colore".


Sono anche convinto che il risultato migliore lo si ottiene se il pubblico non avverte più il colore come un fatto a sé stante, ma lo accetta come sostanza figurativa della vicenda stessa.


Partendo proprio da questa affermazione di Michelangelo Antonioni diventa chiaro come l'idea alla base del film sia quella di dare un'identità al colore come personaggio facente parte della scena. Il regista dedica completamente il suo film allo studio del colore, basti pensare che il titolo sarebbe dovuto essere, in un primo momento, "Celeste e verde".

Egli pensò ad una scena per la quale avrebbe fatto dipingere un lato intero di un bosco di bianco. Per vari problemi quali la posizione degli alberi rispetto al sole, la manodopera e i vari permessi, l'idea fu scartata.

L'inquadratura qua sopra è un rimando nettissimo all'opera di Matisse, la quale però non esprime gli stessi concetti del dipinto sopra analizzato nell'ambito della sola scena in cui è presente, ma racchiude in sé tutto il concetto di un intero film. In altre parole, questo frame non è altro che un marchio che, facendo eco allo stile e alle idee del pittore francese, sancisce e conferma allo stesso tempo l'intento primo della pellicola.

Al cambiare delle situazioni e degli stati d'animo dei protagonisti, la scenografia viene modellata per far si che tali cambiamenti non sembrino avvenire su di un palco teatrale, rimanendo sempre in linea con un'impostazione visiva prettamente cinematografica(emblematica la scena nella quale uno sfondo di colore rosso viene letteralmente distrutto dai personaggi. Tale atto è inserito in un momento di transizione dell'atmosfera e delle sensazioni dei personaggi che, sebbene nello stesso posto, portano il "palcoscenico" a cambiare colore, quindi aspetto in relazione ai loro stati d'animo).

Le associazioni colore-emozione non sono stereotipate nella pellicola, ed è lo spettatore ad associare, con diverse sfumature, delle sensazioni a ciò che vede. Ne risulta che il colore, entità a se stante, non può essere inscritto in delle classificazioni "standard", ma suggerisce diverse emozioni a seconda del fruitore. Proprio come il verde, poi l'azzurro, poi ancora il rosso, assumono significato di calma e tranquillità, così il rosso di Antonioni passa dalla lussuria, all'inquietudine, all'ilarità. 

Questa corrispondenza dunque non è solo un omaggio ad un grande artista che ha fatto la storia del '900 e che è stato essenziale per tutte le correnti di avanguardia, ma è un tributo al colore e alla sua rivalsa come essenza viva del processo artistico.  La consapevolezza di Antonioni delle sue capacità e delle potenzialità che il colore può avere nell'opera d'arte lo portano a costruire una storia che non può non tener conto del ruolo che esso ha nello sviluppo narrativo e del suo potere di espressione. Una consapevolezza che ha cambiato il modo di intendere il mezzo cinematografico.

Grande importanza in quest'opera ha avuto Carlo Di Palma, direttore della fotografia che ha lavorato con artisti come Bertolucci, Allen, Rossellini, Scola, Monicelli. 



Ringrazio nuovamente S a m per avermi dato la possibilità di scrivere questo articolo sul blog e vi invito dunque a dare un'occhiata a La tomba per le lucciole, nel quale potrete trovare articoli riguardanti Cinema, Videogiochi e Libri, nonché tutti gli altri episodi di "Tra Cinema e Pittura". Spero che l'articolo possa darvi qualche prospettiva diversa per la fruizione del film e che la rubrica sia stata di vostro interesse.




I colori, come i lineamenti, seguono i cambiamenti delle emozioni.  -Pablo Picasso.

Il colore è un potere che influenza direttamente l’anima.  -Vasilij Vasil'evič Kandinskij.

Il colore è un mezzo di esercitare sull'anima un'influenza diretta. Il colore è un tasto, l'occhio il martelletto che lo colpisce, l'anima lo strumento dalle mille corde.  -Vasilij Vasil'evič Kandinskij.

Il colore ci ha permesso di rendere la nostra emozione senza mescolare e senza reimpiegare i vecchi mezzi costrittivi.  -Henri Matisse.

4 commenti:

  1. Gran bel post, complimenti all'autore! Mi affascina parecchio questo accostamento. Un salto sul blog è d'obbligo :)

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    1. Grazie mille, mi farebbe molto piacere. In giro nel web è pieno di queste corrispondenze ma non sono mai analizzate, quindi sono felice che sia apprezzata questa rubrica inedita :)

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  2. Ho visto Il deserto rosso, che non avevo mai visto.
    Non posso che ringraziarti di nuovo, Mattia, perchè ho avuto occasione di imparare qualcosa di nuovo.
    Sono molto ignorante in fatto di vecchio cinema italiano, qualcosa ovviamente avevo visto, ma mai niente di simile a questo.
    I colori protagonisti, a rappresentare gli stati d'animo, li ho visti! E non sono più colori in realtà, si trasfigurano proprio.
    Mediterò ancora un po' su questo cinema che colpevolmente non conoscevo... XD

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    1. Non ti preoccupare, neanche io sono un così grande conoscitore del cinema italiano hahaha
      Dopo aver visto film come questo anche io ho sentito una grande colpa nella mia anima, e mi sono ripromesso di recuperare quanti più titoli possibile di questo cinema haha

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