TRAMA-
Una
coppia riceve a casa una scatola con un pulsante rosso e un uomo dal
volto sfigurato, il signor Steward, gli fa un'inquietante offerta a
riguardo; premere il pulsante e ricevere un lauto premio in denaro
con conseguenza la morte di una persona che non conoscono o non
premerlo rinunciando così alla ricompensa e risparmiando lo
sconosciuto.
Cosa
saremmo disposti a lasciar capitare a qualcuno che non conosciamo per
il bene di qualcuno che conosciamo? E a qualcuno che conosciamo o a
noi stessi per il bene di qualcuno che amiamo? E le conseguenze?
The
Box è
tratto da un racconto di Richard
Matheson (Button,
Button)
adattato per lo schermo e diretto da Richard
Kelly,
autore dell'acclamato Donnie
Darko.
Il
racconto
Button,
Button
si
chiede che tipo di male saremmo disposti a consentire per un
interesse personale, in particolare un interesse economico.
Probabilmente non sarebbe così difficile permettere la morte di
qualcuno che non conosciamo in cambio di denaro se si trattasse
semplicemente di premere un bottone.
Un
male che non conosciamo, a cui non assistiamo e che non abbiamo
causato direttamente con le nostre mani può non toccarci, può non
interessarci. In effetti è così.
Se
ci pensassimo, uscendo dalla metafora, ci verrebbero in mente molti
pulsanti che vengono quotidianamente lasciati davanti alla nostra
porta d'ingresso e che premiamo senza troppe remore.
Però
dopo aver fatto questa grigia ma realistica considerazione sulla
facilità di pigiare un bottone Matheson ti mette in guardia: arriva
il momento in cui il male che non conosci diventa il male che
conosci, e lo avrai permesso tu.
Quest'idea
di partenza nel lungometraggio diventa poi quasi completamente
qualcos'altro e nella parte centrale fiorisce di molteplici e confusi
dettagli sfociando in un viaggio
onirico e surreale.
In
una prima analisi è decisamente quello il difetto
principale
del film, ma a mio avviso c'è un'attenuante: la messa
in scena,
pur se alquanto inconcludente sul piano logico, è decisamente
attraente.
Il
rientro a casa del marito attraverso la bara d'acqua è assurdo e
incomprensibile, ma non si può dire che non sia una scena tesa, ben
riuscita e di un certo fascino.
Per
cui non penso che con uno sviluppo di trama più aderente ad un filo
logico il film sarebbe stato tanto migliore. Anzi direi che il
momento che avrebbero
dovuto evitare
sia proprio quello in cui sembrano voler dare una spiegazione
conclusiva a
qualcosa che fino a quel momento è un fitto mistero di cui vediamo
semplicemente le conseguenze sui protagonisti e potrebbe
tranquillamente rimanere tale fino alla fine del film.
Mi
riferisco in particolare al momento in cui il signor Steward fa una
sorta di "spiegone", ma anche a tutti gli altri momenti in
cui lo vediamo ad una ben definita postazione di lavoro e non più
sbucante dal nulla, perchè tutto ciò fa sospettare allo spettatore
che ci sia una qualche conclusione logica a cui giungere. Se così
fosse sarebbe da ritenersi una sceneggiatura al quanto pretenziosa.
Tolti
questi momenti e lasciata a chi guarda la piena responsabilità delle
proprie elucubrazioni, avrei potuto concedere a The
box
anche qualcosa in più di un risicato sei e mezzo. Infatti il film mi
ha affascinato molto nel suo complesso, ma dando il giusto peso al
mix di dettagli sempre in bilico tra lo spirituale, il
fantascientifico e il surreale e soprattutto agli ingenui tentativi
di giungere ad una conclusione ragionevole devo decisamente
togliergli qualche punto.
Indubbiamente affascinante, sul piano tecnico Kelly ci sa fare. Molto meno in fase di scrittura, un po' come succedeva per "Donnie Darko". Credo che questo regista sia semplicemente uno che 'la sa raccontare'.
RispondiEliminaAnche perché il racconto di sua maestà Matheson con solo quindici pagine sapeva davvero inquietare, qui imbastiscono un gran casino che non porta a quasi nulla...
Assolutamente a nulla! ;) Però non dico mai di no ad un film così affascinante
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