sabato 28 marzo 2015

Di "American life", bambini e quant'altro

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Titolo originale Away We Go

Produzione USA|2009
Regia
Sam Mendes
Sceneggiatura Dave Eggers|
Vendela Vida
Con John Krasinski|Maya Rudolph


La prima volta che ho ricevuto un blando riconoscimento positivo per qualcosa che avevo scritto mi ero limitata a reinventare una storiella che mi raccontava mio nonno quando ero più piccola. E adoravo scrivere. Ma non potevo iniziare una frase con e congiunzione, men che meno con ma. Allora ho finito per smettere di farlo. Ora che riprendo in mano la cosa, mi sembra di non avere più le basi, di stare in equilibrio precario sul dito di un solo piede. Mi impegno comunque a cercare di dire cose poco stupide e quindi non ho iniziato un articolo sul film visto l'altro ieri sera citando un aneddoto della mia vita a caso: infatti c'è un senso.
Io sono quello che sono oggi perché un giorno qualcuno mi ha raccontato una storia, perché una volta una persona mi è stata ad ascoltare e un'altra volta no, perché mi hanno fatto sentire parte di qualcosa, perché mi hanno aspettata per sette mesi chiedendosi che cosa avrebbero mai potuto darmi e cercando, più o meno convinti, una risposta sensata.
La risposta che il film “American life” dà, seppure non nel migliore dei modi, anzi proprio in una pessima maniera, è radici.
Io non ho davvero la più pallida idea di che cosa significhi essere genitori o diventarlo, posso solo farmi l'idea che se dovesse capitare a me non potrei che aggrapparmi a quelle poche cose che ho consolidate, ai miei principi, ai miei ricordi, a ciò che mi ha fatto e mi fa crescere, insomma alle mie radici.
“American life” è un road movie, cioè una storia che vede uno o più protagonisti intraprendere un viaggio che diventa fonte di insegnamento o riflessione sulla vita. I personaggi sono due ragazzi sulla trentina che stanno aspettando la loro prima figlia e, nella convinzione di non potersela cavare da soli e di non essere nel posto giusto per farla crescere, partono alla ricerca di parenti e vecchie conoscenze in città diverse e lontane. Nel loro viaggio incontrano molti genitori estremamente problematici e li osservano e pur disapprovandoli non trovano una loro dimensione e sono sempre meno convinti di riuscire ad essere un buon papà e una buona mamma.
Fin qui il film non ha nulla di entusiasmante. I personaggi incontrati sono troppo stereotipati, risultano veramente fastidiosi e non dicono molto.
Vi è una piccola svolta quando i due ragazzi si fermano presso una famiglia che appare molto meno subnormale delle altre, anche loro con qualche stranezza, ma sono i primi che si potrebbero desiderare come vicini di casa. Con quest'incontro il film tenta una prima vera e propria riflessione sulla famiglia, che non risulta riuscitissima: sono banali le scene e i momenti proposti (quante altre volte ce la riproporranno la scena alla tavola calda dove un concetto importante viene spiegato con l'aiuto dei pancake?) e il pensiero è davvero poco approfondito. Però va bene, in fondo il film era partito male quindi questo è definibile un miglioramento a tutti gli effetti.
Anche il finale, se lo spettatore non ha ancora cambiato canale, riesce a risollevare di un po' la situazione di piattezza dell'inizio, intavolando un'altra piccola riflessione e tentando di lanciare un messaggio piuttosto chiaro nelle azioni finali. Tuttavia il tutto è raffazzonato e mai argomentato in maniera convincente.
Questo film guadagna una sufficienza solo perché in fin dei conti tentava di dire qualcosa di vero.
Non c'è bisogno di aver letto chissà quali libri o sposato teorie mirabolanti per essere bravi genitori. Sicuramente non si può più pensare solo a sé stessi, ma questo non può accadere se riusciamo a rimanere in piedi solo autoincensandoci (come la madre della prima tappa del road movie).
Non bisogna lanciarsi chissà quanto lontano per trovare il posto giusto per crescere un figlio, perché il posto migliore è quello dove abbiamo piantate le nostre radici, lì saremo in grado di permettere a lui di mettere le sue. Dunque è meglio non fare finta di essere uccellini che svolazzano dove meglio credono, perché stiamo in piedi solo se siamo alberi ben piantati in un terreno nutriente e da alberi possiamo sorreggere gli altri, da uccellini no.

Le tue radici, lettore, in quale terreno affondano? Meglio iniziare a pensarci.

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