sabato 23 novembre 2019

Le Mans '66 - la grande sfida


In Les Mans ‘66 siamo, lo ricorda il titolo, a metà degli anni sessanta e la Ford Motor Company è in crisi. Ha bisogno di rilanciare il suo marchio e dunque quegli individui poco raccomandabili del reparto marketing propongono a Henry Ford II di pensare come Ferrari e di produrre una macchina da corsa. Perché, lo dimostrano i fatti: le auto di Ferrari sono un simbolo, un simbolo nella cultura popolare, vogliono dire vittoria, e la gente vuole questo: indossare un simbolo di vittoria, bere un emblema di felicità e altrettanto vuole guidarlo, vuole esporlo. La gente non vuole un’auto, vuole un segno di riconoscimento.

Fatto sta che Ford decide di imbarcarsi in questa impresa, pensando di sfruttare il suo vantaggio economico per entrare in competizione con Ferrari, allora imbattuta, ed è qui che scende in campo Carroll Shelby, ex pilota agonistico ritiratosi per un problema di salute, fondatore della Shelby-American, azienda che all’epoca produceva una propria macchina da corsa: la Cobra. Veicolo su cui il massimo commento che io posso fare è: figo il nome!

Infatti non sono un’amante di auto, corse, motori e cose di questo genere, anzi non le sopporto proprio. Ciò che invece amo è il cinema che riesce a farmi emozionare anche con qualcosa di cui nel quotidiano non mi interesso minimamente, e badate che ci riesce ogni volta ma io continuerò comunque a stupirmene. D’altronde il gioco è facile, il denominatore comune tra lo spettatore e qualunque cosa possa essere narrata è sempre uguale ed è presto detto: è l’essere umano. Raccontami in che modo c’entra l’uomo e io penderò dalle tue labbra.

Se arrivi da Instagram hai letto fin qui

James Mangold e gli sceneggiatori di questo film lo sanno senz’altro, perché se no farebbero un altro mestiere e anche perché questo film, che poteva essere scritto seguendo fedelmente il manuale del film sportivo, è invece atipico e mette in primo piano i due protagonisti, due uomini, due amici.
Sono Carroll Shelby e il suo pilota collaudatore Ken Miles il punto focale del racconto: non Ford, non Ferrari, non la loro disputa e in fin dei conti nemmeno la 24 ore di Le Mans. Allo spettatore non importa la loro vittoria, gli importa la loro relazione. Questa è la grossa differenza con un classico film sportivo.

Per cui parliamo di questi due protagonisti, o meglio gli eroi, perché è questo il canone che Mangold vuole per il suo racconto, un canone classico. Uno (Matt Damon) è il cowboy (e non solo perché porta il cappello) e l’altro è il suo amico fedele ma testa calda, fatto di tutt’altra pasta, eppure ciò che conta è la lealtà che li lega e che in fin dei conti solo uniti possono realizzare loro stessi.

Due eroi modello per una qualsiasi storia della Hollywood più classica e allo stesso tempo due persone realmente esistite: è bella questa sovrapposizione.

Inoltre penso che Ken Miles fosse il ruolo di Christian Bale per eccellenza. Gli calza come un guanto. L’uomo ossessionato dall’esecuzione perfetta, che interpreta un personaggio altrettanto tormentato da questa sete di impeccabilità. E il lavoro che fa è, come al suo solito, impressionante. Christian Bale si trasforma, si spinge all’estremo, proprio come Miles.

C’è una scena in particolare che mi ha fatto pensare a Bale: Miles che spiega a suo figlio che cos’è il giro perfetto e che gli spiega che la macchina va sentita e conosciuta davvero bene, per sapere quanto poterla spingere, per poter avere sempre il massimo.


A me due cose hanno stupito e colpito del racconto, ma vi ripeto che io sono la spettatrice ignorante, la prima è stata vedere parte di quella catena di interessi e interessati che si cela dietro questo sport. Anche perché diciamocela tutta, lo sport non ha mai troppo a che fare con lo sport, quanto meno non se guardi il quadro completo.
La seconda è stata proprio vedere che alla fine della catena ci possono essere personaggi molto differenti da quelli che io tendenzialmente mi immagino se penso a piloti d’auto da corsa.
Erano comunque altri tempi, tempi particolari, come racconta anche il film inserendo pochi dettagli ma ben calibrati, particolari come lo è stata ogni epoca storica e forse oggi personaggi del genere non ne esistono più. Tuttavia lo spirito può essere raccontato e questa è una bella fortuna.

Unica vera pecca di questo film, a mio avviso, è l’epilogo. Non perché non servisse, anzi ritengo fosse fondamentale arrivare fino a quel punto della storia, ma l’ho trovato narrativamente molto meno forte rispetto a tutto il resto, quasi tirato via, e questo è davvero un peccato


Su questo blog avevo scritto di Logan (qui linkato se siete interessati), mio grandissimo amore del 2017, nonché precedente fatica di Mangold, e ho notato che la struttura di questo film è la stessa. Vi è una prima parte che ti presenta i personaggi, i loro conflitti e ti fa capire con un po’ di retorica, ma di quella essenziale e pulita, cosa conti davvero per loro. Poi parte la sfida. Nel caso di questo film, come recita il titolo della distribuzione europea, inizia la grande sfida, la 24 ore di Le Mans del 1966, e il racconto approda allora al suo genere di elezione: il film sportivo. Ma tutto ciò che c’è stato prima è servito a fare grande quest’ultima parte.

Trovo che questa struttura sia, molto banalmente, un incastro perfetto che applicato a film di questo genere, ormai diventati un po’ tutti uguali, è in grado di dargli nuova libertà e dunque valorizzarli al meglio.

E con questo passo e chiudo. Fatemi sapere la vostra qui sotto :)

6 commenti:

  1. Per me Logan era molto più bello, questo è decisamente più accademico, più commerciale... come ti ho detto, la ricostruzione dei fatti è totalmente inattendibile ma è innegabile che il film funziona benissimo: nella seconda parte si raggiunge davvero l'epicità. D'accordo con te sul finale, posticcio e strappalacrime. Ma è il prezzo da pagare alle major.

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    1. In realtà mi trovo d'accordo sul fatto che Logan sia meglio. Io a Logan ho proprio lasciato il cuore, questo mi è piaciuto ma ad un livello meno personale

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  2. Anche io, come te, ero non prevenuta... di più. Odio i film di automobili. Ma questo ha letteralmente una marcia in più e anche se lo schema è "banale" mi ha conquistata!

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    1. Già, banale ma perfetto per lo scopo! ;)

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  3. Tra te e la Bolla ne parlate talmente bene che dovrò vederlo, ma presumo quando sarà disponibile per una visione casalinga.

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    1. Merita il recupero, ci farai sapere ;) grazie per esser passato di qui

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