sabato 9 aprile 2016

Con poche parole: Race – Il colore della vittoria

Dopo un primo tempo piatto e poco accattivante la seconda parte si fa più cinematografica. Questo però non basta per poter concedere al film un voto d'eccellenza.

La parola race in inglese significa corsa/gara, ma anche razza. Volendone fare un problema linguistico, nel 2016 bisognerebbe avere già chiaro che il concetto di razza non si può utilizzare se stiamo parlando di uomini, infatti siamo tutti della stessa categoria: siamo esseri umani, una sola razza. Ma ancora tuona il cannone!
Ottant'anni fa, epoca dei fatti di Race, questo concetto era ancora meno chiaro (o così preferiamo semplicisticamente dire) ed è anche di questo che vorrebbe parlare il film mentre racconta la storia dei successi dell'atleta nero Jesse Owens alle olimpiadi di Berlino del 1936. Per via delle politiche razziali che stava intraprendendo la Germania, molte nazioni scelsero di boicottare l'evento, l'America decise invece di parteciparvi. 

Il film fa il suo dovere narrativo, se così si può dire, ma nulla di più.
La sceneggiatura è quasi interamente scritta col manuale del film biografico-sportivo e questo è probabilmente il suo punto più debole. I momenti che alla fine risultano pensati e scritti appositamente su questa storia, su queste vicende, sono pochi, troppo pochi. 
Il risultato è che tra il pubblico c'è chi non si accontenta e pensa che avendoci messo un po' di scrittura in più questo film avrebbe potuto essere più comunicativo, magari avrebbe rischaito di diventare meno concreto, ma forse sarebbe stato più vero.
In fondo non è questo il cinema? 

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