Dopo
un primo tempo piatto e poco accattivante la seconda parte si fa più
cinematografica. Questo però non basta per poter concedere al film
un voto d'eccellenza.
La
parola race in inglese significa corsa/gara, ma anche
razza. Volendone fare un problema linguistico, nel 2016
bisognerebbe avere già chiaro che il concetto di razza non si può
utilizzare se stiamo parlando di uomini, infatti siamo tutti della
stessa categoria: siamo esseri umani, una sola razza. Ma
ancora tuona il cannone!
Ottant'anni
fa, epoca dei fatti di Race,
questo concetto era ancora meno chiaro (o così preferiamo
semplicisticamente dire) ed è anche di questo che vorrebbe parlare il film
mentre racconta la storia dei successi dell'atleta nero Jesse Owens alle
olimpiadi di Berlino del 1936. Per via delle politiche razziali che
stava intraprendendo la Germania, molte nazioni scelsero di
boicottare l'evento, l'America decise invece di parteciparvi.
Il
film fa il suo dovere narrativo, se così si può dire, ma nulla di
più.
La
sceneggiatura è quasi interamente scritta col manuale del film
biografico-sportivo e questo è probabilmente il suo punto più
debole. I momenti che alla fine risultano pensati e scritti
appositamente su questa storia, su queste vicende, sono pochi, troppo
pochi.
Il risultato è che tra il pubblico c'è chi non si accontenta e pensa
che avendoci messo un po' di scrittura in più questo film avrebbe potuto essere più comunicativo, magari avrebbe rischaito di diventare meno concreto, ma forse sarebbe stato più vero.
In fondo non è questo il cinema?
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