Ditemi
voi, cosa c'è di meglio di una sala piena che ride di gusto?
Per
di più a siparietti targati Disney, il che significa che la
volgarità è off-limits, l'accesso alla zona risate facili è
severamente proibito.
Il
cinema offre anche questo a chi sceglie di concederselo:
intrattenimento bonaccione, chiassoso, egocentrico, ma anche
abbastanza intelligente, giustamente folle (unico modo per
avere qualcosa di nuovo da dire) in uno stile amabilmente ironico
e canzonatorio nei confronti di quei toni epici che più
spesso contraddistinguono i film di supereroi.
Questo
Guardiani della galassia trova
la sua forza, ancor più del primo, nelle esplicite diversità
dei personaggi in
contrasto con un desiderio profondo di aiutarsi a vicenda. Il legame
che li tiene insieme e che li rende forti è ora radicato anche se
non sempre maturo: ciò li rende una vera e propria famiglia
e l'importante in questi casi è sapersi riconoscere come tale.
In
questo aspetto mi ha ricordato molto i toni de Gli
incredibili,ve lo
ricordate? Insomma, non si può certo dire che la Disney abbia
limitato i film Marvel.
Per
più cupezza e un pizzico di amoralità abbiamo visto con Logan
che potrebbe sopperire la Fox.
Questo
film gioca molto bene tutte le sue carte vincenti.
Baby
Groot è la dolcezza e
Drax l'anima
della festa.
Tuttavia
il ritmo è
decisamente altalenante, non tanto da annoiarsi se si riesce ad
apprezzare il resto, ma non si può negare che a questo film sarebbe
servito un buon lavoro di
lima. In fondo la
lunghezza è eccessiva e qualche scena in meno non avrebbe fatto
male.
Io
mi sono divertita comunque
e, lo ribadisco, chi mai lo disprezzerebbe un po' di spensierato e
sano divertirsi?
Quando
un film è molto amato o molto odiato generalmente faccio un
sacco di giretti virtuali per farmi un'idea di cosa ne pensa la
maggior parte dei sui fruitori. Tanto che quando arrivo a parlarne a
volte vorrei discutere più di come è stato visto dagli altri che di
come l'ho visto realmente io. C'è qualquadra che non cosa, direte
giustamente voi.
Da
questo punto di vista fu eclatante il caso Inside Out.Nel complesso poteva
quasi risultare che non mi fosse piaciuto e invece il punto era che
avevo sentito solo lodi e lodi al suo contenuto così fortemente
filosofico e mi sembrava così fortemente esagerato che il mio
commento partiva già in conflitto con quell'idea, ma questo non
significa che il film in sé non mi avesse colpito. Molto bellino sì,
ma nella mia testa per tutt'altre ragioni.
Uguale
accade ora per questo 13 reasons why. Per
cui mi vien da dire solo una cosa “Fuggite... sciocchi!” Fuggite
dal mio commento finché siete in tempo.
Si
da il caso che nelle mie peregrinazioni virtuali in cerca
dell'opinione più diffusa io abbia sentito praticamente solo una
cosa: “questa serie ti cambia” “dovrebbe essere vista nelle
scuole” Da cui deduco che per i più il contenuto di questa
serie sia fortemente educativo e possa insegnare cose a dei
giovani ragazzi.
Per
quanto il tema dell'educazione mi stia molto a cuore ho le
idee abbastanza confuse a riguardo. Non ho risposte, ho solo domande,
impressioni, esperienze.
É
colpa di Netflix se
ora pure io guardo le serie TV.
Ormai
sono mesi che ce l'ho e penso che sia venuto il momento di parlare di
tante cosettine carine che vi si possono trovare su, serie TV sì,
ma anche film da recuperare.
Non
vi ho mai parlato di serie TV fino ad oggi ed effettivamente
io sono quel che possiamo
definire una abbandonatrice
seriale di serie TV.
Al
limite a volte mi sforzo di leggere nell'internet come andranno a
finire prima di abbandonarle del tutto. Cosa che poi è diventata una
caccia al tesoro da quando il mondo è ossessionata dallo spoiler.
Voglio
dire, non ho forse il diritto di sapere anch'io quanti personaggi
muoiono e quanti risorgono nei prossimi episodi?
Insomma,
per i non appassionati di serie la vita è grama!
Prima
o poi costituirò la DDDDDDDDDBW (ovvero la Divisione in
Difesa Dei Denigrati Diritti Dei Disadattati Detrattori Del Binge
Watching)
Comunque
le cose stanno un po' cambiando da quando ho Netflix, perché in
fondo devo solo cercare di capire quale sia il mio tipo ideale. Posso
farcela, posso anch'io essere fedele a uno show!
Diciamo
che forse forse ci sto arrivando.
C'è
della bella robina su Netflix e soprattutto è fruibile in
maniera agevolissima.
Per
cui partiamo subito a parlarne con una serie che ho appena finito:
Non
fatevi ingannare dalle immagini promozionali e dal titolo, perché
non è nulla di quello che lascia credere. Non mi abbasso nemmeno a
dire quanto sia inconsistente la storia, quanto sia pretenziosa la
lunghezza, quanto sia fatto male anche solo lo strato che dovrebbe
dare inquietudine, soprattutto nella seconda parte di film.
Questo
film è quello che possiamo tranquillamente definire la masturbazione
mentale di una mente dalla misera immaginazione, miserrima anzi.
Dedico
due parole anche al mio accompagnatore, che tanto non mi legge: io te
l'avevo detto! (la soddisfazione di dire “te l'avevo detto” non
mi fa dimenticare che ho buttato 5 euro e 50)
Se voi ci avete trovato invece qualcosa di bello o significativo scrivete qui sotto, parliamone! Sono curiosa e non mi va di liquidare nessun film in così poche argomentazioni, ma proprio non le vale...
''
Non ballavo da anni, avevo quasi dimenticato la sensazione. ''
C'è
una scena che tutti bene o male conoscono de La Bella e la
Bestia, quella del ballo nel salone vuoto, Mrs Brick
che canta e a finire sul terrazzo.
Il
ballo è per i due personaggi simbolo di una grazia ritrovata nello
stare insieme, il ballo è qualcosa che si può fare solo se si è un
sistema armonioso, attenti all'altro e al proprio corpo.
Ma
il ballo è anche lasciarsi andare, lasciarsi guidare da una
musica, liberarsi della rigidità della mente solo per un po'.
Ora
io chiederei questo a tutti quelli che hanno avuto dei dubbi
sull'utilità del remake Disneydi La Bella e la Bestia:
quand'è stata l'ultima volta
che vi siete lasciati andare? L'ultima volta che vi siete fatti
guidare solo da un ricordo
e avete lasciato che
riempisse qualche piccolo vuoto con la sua presenza?
Vi
ricordate la sensazione?
Ecco,
è per questo che il live action de La Bella e la Bestia non è
un film inutile. Se non siete riusciti a lasciarvici andare è
un altro discorso, o una questione di gusto, ma questa campana
dell'inutilità che continua a suonare contro la Disney è un po' una
fesseria.
Io
stasera consiglio questo film ma, che poi non si dica che non vi
avevo avvisato, non è una commedia da tutti i palati. Se non
apprezzate il macabro così detto umorismo inglese, non apprezzerete
questa piccola chicca.
Un
ottimo cast, splendidamente diretto!
Una
trama da commedia, ma con risvolti da dramma.
Rampollo
di una borghesissima famiglia inglese degli anni '30 porta a casa dai
suoi la sua nuova moglie americana conosciuta in vacanza. Gli
equivoci, lo scompiglio e le trappole tese alla virtù altrui per
farla crollare, faranno saltare, anche se solo per un momento,
qualche maschera.
● Rai
Movie
h 21:20●
Per
i palati schizzinosi, quelli che non apprezzano, vi segnalo altre due
commediole adattissime ad un intrattenimento serale da cervello
semi-spento.
~
Sapori e dissapori ~ Interessante
accoppiata: Catherine Zeta-Jones & Aaron Eckhart (che tra
parentesi ho stra adorato nelle sue ultime interpretazioni: Sully e
Bleed)
Commediola
adatta un po' a tutti, innocua, ma ben fatta. Romantica e famigliare.
Vedibile e godibile.
[La5
h 21.10]
~ Crazy stupid love ~ se siete di
quelli che si sono innamorati della coppia Ryan Gosling & EmmaStone, intanto vi consiglio di ripigliarvi un attimo, poi potete
recuperare anche questo filmettino in cui recitano assieme. Anche se
io lo vedrei principalmente per Steve Carrell, un attore con la A
maiuscola, ma non vi giudico, ognuno ha le sue priorità. XD
Fatto
sta che questa è una commedia con qualche lato intelligente, ma
pochi, non l'ho amata tanto... nonostante Steve Carrell. Però è
vedibile.
Se
siete amanti di quei film tanto americani, con gli ostaggi, i
negoziatori, i cattivi, i buoni... che spesso però sono scritti e
diretti tutti allo stesso modo, allora questo film vi stupirà! Quel
che si può definire un film d'autore travestito da tipico
thriller con Denzel Washington.
Già
dalla prima scena Spike Lee dimostra di non aver letto il
manuale del bravo regista, sfonda la quarta parete e così, con lo
sguardo magnetico di Clive Owen che guarda diritto in
macchina, cattura subito lo spettatore e, vi assicuro, non lo lascia
più andare fino alla fine del film!
●
Rete 4 h 21:15 ●
~
Le vite degli altri ~
Un
altro film che decisamente non vi lascerà possibilità di distrarvi
è questo. In seconda serata. Oscar per il miglior film straniero
nel 2007.
Questo
è un dramma in ambientazione storica. Ricrea perfettamente la sua
ambientazione: Berlino est, qualche anno prima della caduta del
muro. Protagonisti sono una spia della Stasi e la coppia di
artisti che è incaricato di controllare.
Lui,
un noto scrittore teatrale, si sente al sicuro e ha una verità
scomoda da rivelare.
Il
realismo e i dettagli dell'ambientazione, l'intensità della storia e
i personaggi fanno di questo film un piccolo capolavoro.
Fantascienza
secondo Alfonso Cuaron con tanta Sandra Bullocke un po' di George
Clooney. E' un film ambientato fuori dall'atmosfera terrestre, ma
la storia è molto umana. C'è una mamma ferita, una donna che
sopravvive con addosso la consapevolezza di non aver più nulla da
perdere, che durante questa avventura fantascientifica riuscirà ad
accettare che non è così e proteggerà la sua vita con
forza. Cuaron ci regala una rappresentazione dello spazio che
comunica allo spettatore attraverso la perfetta orchestrazione di
suono e immagine. Davvero da non perdere!
● IRIS
h 21:00●
~
Mission ~
Candidato
a sette premi oscar nell' '87 Mission è una visione abbastanza
imprescindibile, non fosse altro che per conoscere l'origine del tema
Gabriel's Oboe che tutti avrete sentito.
Gabriel
(Jeremy Irons) è un missionario gesuita, metà del diciottesimo
secolo, e grazie alla musica riesce a farsi ascoltare da una
popolazione tribale, costruisce la sua missione accanto ad un
insolito compagno (Robert de Niro), un assassino e schiavista alla
disperata ricerca di sollievo dal peso delle sue colpe.
Ve
lo dico: finisce malissimo.
● Rai
Storia h 21:10●
Spanglish
invece
è una commedia dall'intento più che intelligente e interessante, ma
risolto in maniera stupidella, peccato! LA7D h 21:05
Intervista
col vampiro non l''ho ancora mai visto, ditemi voi! Paramount
Channel h 21:10
Australia
è
un insolito Baz Luhrmann, insolito perchè è un dramma romantico
molto classico. Da vedere anche solo per Nicole Kidman e Hugh
Jackman, che io non disdegno per nulla. NOVE h 21:14
Insomma
c'è ampia scelta... in ogni caso, BUONA SERATA♡
Salve a tutti e benvenuti in questo capitolo di "Tra Cinema e Pittura".
Inizio ringraziando S a m per aver accettato questa collaborazione, nella speranza che il seguente articolo possa in qualche modo dare al blog un contenuto gradevole per i lettori, e magari qualche spunto di riflessione interessante. Ho necessità inoltre di introdurre - molto brevemente - il tipo di articolo in questione per chi non ne abbia mai sentito parlare: in "Tra Cinema e Pittura" metto a paragone scene/inquadrature/sequenze di film che prendono ispirazione da opere pittoriche(all'occorrenza scultoree) famose. L'obiettivo è innanzitutto quello di creare un "ponte" tra queste due forme d'arte che hanno molto in comune, e quello di far conoscere opere pittoriche a chi è appassionato di cinema(ovviamente anche far conoscere film a chi è appassionato di storia dell'arte) e di poter mettere in risalto aspetti delle due arti che, messe a paragone, possono rivelarsi ancora più interessanti.
"Il deserto rosso" è il primo film a colori di Michelangelo Antonioni. Il regista dunque decide di strutturare il film sfruttando i colori come veri e propri protagonisti della scena. Sono poche le personalità del mondo del cinema che hanno saputo realmente utilizzare il colore per quello che è, e non come semplice qualità di un oggetto.
Un dato colore comincia ad esistere all'interno di un film laddove cessa di presentarsi come una pura e semplice "qualità del visibile" e si costituisce al contrario come qualità "tout court".
Antonioni gira dunque un film nella quale il protagonista è il "colore esposto", ovvero il colore che il film "estrapola" dall'oggetto. Esso diventa espressione dell'emotività, diventa un personaggio a tutti gli effetti, nel bene e nel male.
Autore: Henri Matisse
Titolo: La stanza rossa(o Armonia in rosso)
Data: 1908 Ubicazione: Museo statale Ermitage, San Pietroburgo
Tecnica: Olio su tela
Dimensioni: 180 x 220 cm
Chi più di Henri Matisse, maggior esponente dei "fauves", può essere accostato al concetto di "colore esposto"?
Il realismo non è di interesse del pittore, il cui unico obiettivo è quello di descrivere uno stato d'animo, abolendo quasi completamente la prospettiva e i piani verticali ed orizzontali attraverso l'uso di una grandissima quantità di rosso estremamente vivido.
Nota: il dipinto era stato inizialmente concepito come "Armonia in verde"(con conseguente fondo verde) e successivamente come "Armonia in azzurro". Matisse, ancora una volta non soddisfatto, decisa di iniziare da capo. Scelse il rosso.
La vastità dello sfondo che occupa gran parte della tela confonde lo spettatore dando l'illusione di un unico piano senza profondità, nel quale lo sguardo si perde tra le varie decorazioni che sono dislocate nell'intero dipinto come in un grande tappeto(non a caso i fauves, e Matisse in particolare, sono stati gli artisti che più hanno avuto a che fare con l'arte africana/persiana).
Il soggetto di un quadro è il suo sfondo hanno lo stesso valore.
La confusione lascia spazio alla tranquillità nel momento in cui vengono accettati i presupposti anti-realisti del dipinto, che si trasforma in una grandissima suggestione, che porta ad una particolare calma e serenità della scena. Tutto ciò che vediamo infatti è predisposto per essere quanto più accogliente ed armonioso possibile("Armonia in rosso", appunto), e l'annullamento della profondità unito alla semplificazione del tratto(le linee sinuose delle decorazioni richiamano quelle degli alberi, del corpo della cameriera, per esempio) e del colore(puro, senza chiaroscuri e quasi totalmente facente parte delle tonalità vicine ai colori primari) dona al dipinto un'aria "domestica", calda e colloquiale.
Riporto ogni soggetto ai sentimenti umani.
Lo studio del colore come elemento espressivo e non qualitativo dell'oggetto vede in Matisse uno dei suoi più grandi realizzatori. Il suo processo di "semplificazione"(per comprendere meglio si dia un'occhiata alla successione dei seguenti 3 dipinti, rispettivamente degli anni 1894, 1899, 1905: "Donna che legge", "Natura morta con arance", "Donna con cappello") del tratto e di assolutizzazione del colore ha dato vita ad una vera e propria concezione del colore come veicolo di sensazioni. Un vero e proprio "sentimento dello spazio mediante il colore".
Sono anche convinto che il risultato migliore lo si ottiene se il pubblico non avverte più il colore come un fatto a sé stante, ma lo accetta come sostanza figurativa della vicenda stessa.
Partendo proprio da questa affermazione di Michelangelo Antonioni diventa chiaro come l'idea alla base del film sia quella di dare un'identità al colore come personaggio facente parte della scena. Il regista dedica completamente il suo film allo studio del colore, basti pensare che il titolo sarebbe dovuto essere, in un primo momento, "Celeste e verde". Egli pensò ad una scena per la quale avrebbe fatto dipingere un lato intero di un bosco di bianco. Per vari problemi quali la posizione degli alberi rispetto al sole, la manodopera e i vari permessi, l'idea fu scartata. L'inquadratura qua sopra è un rimando nettissimo all'opera di Matisse, la quale però non esprime gli stessi concetti del dipinto sopra analizzato nell'ambito della sola scena in cui è presente, ma racchiude in sé tutto il concetto di un intero film. In altre parole, questo frame non è altro che un marchio che, facendo eco allo stile e alle idee del pittore francese, sancisce e conferma allo stesso tempo l'intento primo della pellicola. Al cambiare delle situazioni e degli stati d'animo dei protagonisti, la scenografia viene modellata per far si che tali cambiamenti non sembrino avvenire su di un palco teatrale, rimanendo sempre in linea con un'impostazione visiva prettamente cinematografica(emblematica la scena nella quale uno sfondo di colore rosso viene letteralmente distrutto dai personaggi. Tale atto è inserito in un momento di transizione dell'atmosfera e delle sensazioni dei personaggi che, sebbene nello stesso posto, portano il "palcoscenico" a cambiare colore, quindi aspetto in relazione ai loro stati d'animo).
Le associazioni colore-emozione non sono stereotipate nella pellicola, ed è lo spettatore ad associare, con diverse sfumature, delle sensazioni a ciò che vede. Ne risulta che il colore, entità a se stante, non può essere inscritto in delle classificazioni "standard", ma suggerisce diverse emozioni a seconda del fruitore. Proprio come il verde, poi l'azzurro, poi ancora il rosso, assumono significato di calma e tranquillità, così il rosso di Antonioni passa dalla lussuria, all'inquietudine, all'ilarità.
Questa corrispondenza dunque non è solo un omaggio ad un grande artista che ha fatto la storia del '900 e che è stato essenziale per tutte le correnti di avanguardia, ma è un tributo al colore e alla sua rivalsa come essenza viva del processo artistico. La consapevolezza di Antonioni delle sue capacità e delle potenzialità che il colore può avere nell'opera d'arte lo portano a costruire una storia che non può non tener conto del ruolo che esso ha nello sviluppo narrativo e del suo potere di espressione. Una consapevolezza che ha cambiato il modo di intendere il mezzo cinematografico.
Grande importanza in quest'opera ha avuto Carlo Di Palma, direttore della fotografia che ha lavorato con artisti come Bertolucci, Allen, Rossellini, Scola, Monicelli.
Ringrazio nuovamente S a m per avermi dato la possibilità di scrivere questo articolo sul blog e vi invito dunque a dare un'occhiata a La tomba per le lucciole, nel quale potrete trovare articoli riguardanti Cinema, Videogiochi e Libri, nonché tutti gli altri episodi di "Tra Cinema e Pittura". Spero che l'articolo possa darvi qualche prospettiva diversa per la fruizione del film e che la rubrica sia stata di vostro interesse.
I colori, come i lineamenti, seguono i cambiamenti delle emozioni.-Pablo Picasso.
Il colore è un potere che influenza direttamente l’anima.-Vasilij Vasil'evič Kandinskij.
Il colore è un mezzo di esercitare sull'anima un'influenza diretta. Il colore è un tasto, l'occhio il martelletto che lo colpisce, l'anima lo strumento dalle mille corde.-Vasilij Vasil'evič Kandinskij.
Il colore ci ha permesso di rendere la nostra emozione senza mescolare e senza reimpiegare i vecchi mezzi costrittivi.-Henri Matisse.
Kubo
e la spada magicaaveva originariamente un titolo più
coerente col suo contenuto, ossia Kubo and the two strings, due
corde. Due corde molto particolari delle tre di un strumento
musicale giapponese che era utilizzato in una cultura teatrale di
cui io non so dirvi nulla perché sono ignorante.
Pizzicando
le corde di questo strumento Kubo, un bambino senza un occhio, è
capace di animare degli origami che lo aiutano a raccontare le
sue storie in paese, ma è un cantastorie che
non riesce mai a finire i suoi racconti.
Questo
probabilmente perché nemmeno sua madre ci riesce, non può più
raccontargli le storie della sua famiglia o le gesta di suo padre
guerriero, perché è malata, o meglio provata, ci appare quasi come
una donna stanca di vivere e invece è solo impossibilitata a
ricordare la vita.
Purtroppo
è proprio da quel ricordare che scaturisce la magia.
Ricordare
è sapere chi siamo e sapere chi siamo è vita, è una cosa potente
come una magia.
Il
ragazzo si troverà a dover affrontare i suoi nemici, il suo
malvagio nonno e le sue zie, anche loro magici, che gli rubarono
l'occhio quando era neonato e ora per qualche ragione vogliono
l'altro. La storia assume allora la classica struttura archetipica
del “viaggio dell'eroe”. Se è vero che di base la storia
ha questo valoreuniversale, i riferimenti
culturali, i simbolismi, le tecniche narrative e
l'ironia che si possono trovare in Kubo sono di
origine mista, un incontro tra l'oriente e l'occidente.
Molto
bello anche l'arrangiamento orientaleggiante interpretato da Regina
Spektor di una già bellissima di suo “While my guitar
gently weeps” (George Harrison) e il testo di questa canzone si
incastra perfettamente con la sottotrama che corre attraverso
questo film.
Sapevate
che l'ispirazione per questa canzone venne ad Harrison leggendo un
testo classico cinese? (che probabilmente sarebbe in tema, ma non vi
dirò di più perché anche qui prevale l'ignoranza)
Sapevate
che l'espressione gently weeps l'ha scelta aprendo a caso un
libro?
Eppure, per quanto casuali le parole possano sembrare, sono il mezzo di chi racconta.
I
look at you all see the love there that’s sleeping While my
guitar gently weeps I look at the floor and I see it needs
sweeping Still my guitar gently weeps
vi
guardo tutti, vedo l'amore là che sta dormendo
Mentre
la mia chitarra piange dolcemente
Guardo
il pavimento e vedo che ha bisogno d'essere spazzato
Ancora
la mia chitarra piange dolcemente
I
don’t know why nobody told you How to unfold your love I
don’t know how someone controlled you They bought and sold you
Non
so perché nessuno ti abbia detto
di
come rivelare il tuo amore
Non
so come qualcuno ti abbia controllato
Ti
hanno comprato e venduto
Kubo
parla anche di educazione. Educazione intesa come tramandare
memoria. Come parole che svelano qualcosa all'umano, racconti
che svelano l'umano.
Il
potere delle parole è grande, controllare il linguaggio
è controllare il pensiero.
Perché
nessuno ci ha spiegato come rivelare il nostro amore? (chiede George
Harrison e chiedo anch'io)
Perché
non discutere di come comunicare ciò che abbiamo dentro?
Se
non lo faremo rimarrà un posto vuoto, giusto lo spazio che
qualcuno riempirà con altre parole, con parole che possono
controllarci, comprarci e venderci.
Io
vedo, guardo tutti, mentre la mia chitarra piange dolcemente.
Ossia,
mentre trascorro la mia vita, io posso vedere l'amore nascosto
dentro ognuno, posso capire se una cosa è sporca, se il
pavimento ha bisogno d'essere spazzato, allora come è possibile
traviarci, corromperci, capovolgerci?
Basta
pochissimo. Riempire i nostri spazi vuoti, i nostri vuoti di
memoria, con parole corrotte, ambigue. Allora non vedremo più,
potremmo non notar più nemmeno che il mondo gira.
I
look at the world and I notice it’s turning While my guitar
gently weeps With every mistake we must surely be learning Still
my guitar gently weeps
Guardo
il mondo e noto che sta girando
Mentre
la mia chitarra piange dolcemente
Da
tutti gli errori staremo certamente imparare
Ancora
la mia chitarra piange dolcemente
I
don’t know how you were diverted You were perverted too I
don’t know how you were inverted No one alerted you
Non
so come tu sia stato sviato
Sei
stato anche traviato
Non
so come tu sia stato capovolto
Nessuno
ti ha avvisato
In definitiva il
bene bisogna raccontarlo. Sempre. Ai figli, a quelli più piccoli
di noi.
Quando saremo noi ad averne bisogno i piccoli sapranno
raccontarlo a loro volta, perchè saranno uomini.
Questo bene di cui parlo non è un invenzione, va tramandato, le corde da suonare sono le nostre radici, sono memoria, per questo sono più forti del male.
É
vero che Kubo vuole raccontare tutto questo e dire di quanto
siano importanti le storie, quelle che svelano il bene,
l'amore, quelle che portano una memoria, ma è anche vero che questa
è una sottotrama e salta fuori in maniera vagamente disordinata.
Mentre il racconto principale scorre con un ritmo altalenante.
C'è
qualcosa nella narrazione che la fa apparire come un po'
sfilacciata, ma non sbagliata. Pensandoci credo che sia il
fatto che gli antagonisti ci si presentino nelle loro vere
motivazioni solo alla fine. Che il timore di Kubo di perdere
anche l'altro occhio racchiuda anche un significato simbolico lo
riusciamo a cogliere solo nel momento conclusivo.
Tra
l'altro è un momento conclusivo atipico, in cui tutti sanno
che cosa devono fare tranne te spettatore, che ci devi riflettere un
attimo, inevitabilmente si alza il sopracciglio, pensi che sia un
finale infantile, ma poi capisci che è l'unico sensato, capisci che
non sta succedendo nulla di troppo strano rispetto a quanto detto dal
film fino ad allora, stanno solo raccontando il bene al malvagio re
Luna, stanno colmando i suoi vuoti di memoria che prima erano grumi di odio per la vita.
L'effetto
complessivo del film è piacevolissimo, a me ha lasciato una
sensazione di dolcezza inconsueta. Il fatto è che questo film è un
ibrido colto: cerca di condensare insieme due culture di
cinema d'animazione e se non ci riesce del tutto o non riesce ad
essere proprio accessibilissimo è comunque un peccato veniale a mio
avviso. Perché in realtà c'è molto nel calderone di Kubo, a
tratti troppo e in un ordine un po' destabilizzante.
Ma
è molto meglio lasciarsi destabilizzare ogni tanto, piuttosto che
essere irretiti dalla solita melodia.
In
ogni caso c'è un aspetto sul quale saremo tutti d'accordo.
L'animazione di questo film è davvero spettacolare, una combinazione perfetta di tecnologia digitale e animazione stop-motion.
Ormai
abbiamo tutti presente quali meraviglie possa fare la computer
grafica nel creare personaggi e paesaggi dei film
d'animazione, ma i protagonisti e le ambientazioni di Kubo non
sono ricostruiti in digitale, sono stati fabbricati artigianalmente e
ripresi con la tecnica dello stop-motion per creare il
movimento e l'azione. E che azione, in questo caso!
Da
pazzi il lavoro che deve esserci stato dietro. Impressionanti le
soluzioni robotiche (si dice così?) che
sono state escogitate per le complicate scene d'azione con certi
personaggi anche molto grandi.
Ammetto
di non avere mai visto altri film della Laika, ma in questo vi
ho percepito un controllo che mi ha davvero colpita. Sarà
colpa del mio essere neofita del genere, ma io dico chapeau!
Anche
se può sembrare che gli manchi qualcosa. Ripensando ai vari momenti del film ho capito che contiene più cose di quelle che si riescono a cogliere
durante la visione, ma vi dirò quella che è stata la mia percezione.
Racconta
principalmente, con inquadratura stretta sulla first lady,
i momenti e poi i giorni che succedettero l'assassinio
dell'allora presidente degli Stati Uniti JFK, fino al suo funerale.
É il novembre del 1963.
Ogni
elemento del film ha una precisa collocazione, e questo è
perfettamente percepibile se mettiamo a confronto la resa
narrativa delle immagini, con la loro effettiva semplice
composizione, quasi statica. Luci, sfondi, simmetrie, colori,
riflessi, è tutto volto a rendere eloquente, e in amniera solenne, quel particolare momento del
racconto.
Protagonista
indiscusso in Jackie è il volto della First Lady,
come a sottolineare che questo film vuole essere un ritratto. Un viso su
di un quadro che con sapienza d'artista, con piccoli dettagli o con
un'ombra quasi invisibile su un angolo della bocca, può alludere ai
moti dell'animo umano.
Jackie
è proprio questo.
A
supportare il tutto una Natalie Portman nascosta dietro una
fedele riproduzione della vera Jackie e persino della sua strana
parlata.
Il
ritratto che Larraìn, il regista, ne tira fuori non è di
facile lettura.
Disperata, shoccata dall'accaduto, eppure così
consapevole del suo status, che non può e non vuole
abbandonare.
"Io
non fumo" dice la vedova al giornalista, mentre tiene tra le
dita l'ennesima sigaretta.
Ha
quasi due volti.
Uno
è quello di quando non vuole togliere il completo sporco di sangue,
perché la gente veda “quello che gli hanno fatto”, l'altro
quello di quando finalmente, sfila le calze insanguinate con le mani
che le tremano, sola nella sua camera da letto.
Ma
è un attimo. I due volti si confondono continuamente. In fin
dei conti anche la casa in cui si trova è “del popolo”.
Jackie
cerca di dare ad un tragico evento un senso, ma prima di tutto deve
dargli un senso storico, un senso mediatico, un senso che
rimanga a segno eterno per il popolo americano. Il fatto che lei
desideri solo la morte è un altro discorso. O forse è lo stesso,
forse nell'esporsi pubblicamente sperava di fare la stessa fine del
marito. Tutto si confonde.
In
ogni caso, una settimana dopo la morte del marito, Jackie rilascia
un'intervista, blindatissima, in cui riferisce che prima di
andare a dormire suo marito amava ascoltare dischi e che il finale
del musical Camelotera il suo pezzo preferito.
Finaleatto politico della ex First Lady.
Those
are the legal laws.
The
snow may never slush upon the hillside.
By
nine p.m. the moonlight must appear.
In
short, there's simply not
A
more congenial spot
For
happily-ever-aftering than here
In
Camelot.
Camelot:
un regno immaginifico, ma idilliaco, dove i politici siedono ad una
tavola rotonda. Nella cultura popolare degli Stati Uniti Camelot
venne poi accostato alla presidenza Kennedy.
Così
l'uomo diventa leggenda.
Per
cui cosa manca a questo film?
Quello
che manca in ogni ritratto, uno contesto che non sia un semplice
sfondo, ma soprattutto mancano le reazioni dei destinatari del
ritratto.
Che
non sono realmente assenti.
Li
intravediamo riflessi sul finestrino della macchina da cui Jackie
guarda. O in quelle vetrine di negozi d'abbigliamento, in cui
imperversano completi simili a quelli indossati dalla moglie del
presidente.
Ma
c'è da dire che forse questo non basta a coinvolgere appieno lo spettatore.
Jackie non
è riuscito a convincermi del tutto, molto semplicemente
mi è sembrato che mi mancassero delle informazioni. Paradosso per questo film in cui nessun segno è casuale. Eppure...
In fin dei conti non è una cosa grave, un film che ti lascia il desiderio di conoscere altro a riguardo, è meglio di uno che millanta di averti detto tutto il possibile!