Cena con delitto – knives out è ora in sala con un cast di stelle e talenti emergenti, scritto e diretto da Rian Johnson.
CAST: Daniel Craig, Chris Evans, Ana de Armas, Jamie Lee Curtis, Michael Shannon, Don Johnson, Toni Collette, Katherine Langford, Christopher Plummer
Due parole, senza spoiler! Giusto per farvi decidere se vale o no la pena di vederlo.
Innanzitutto ci tengo a precisare che Invito a cena con delitto (quello del 1976) è uno dei film divertenti più geniali che io conosca. A partire dai titoli di testa arrivare ai titoli di coda non c’è una nota fuori posto e non c’è un momento che ti faccia calare il sorriso.
Ma, tranquilli, Cena con delitto (in originale era un più azzeccato Knives out), non è un remake del gioiellino che vi ho appena citato. E questa, per fortuna, l’abbiamo scampata!
Non è nemmeno un giallo tradizionale però, anche se è da questo che pesca per le situazioni, i personaggi e per il modo in cui è diretto e raccontato il film.
Mira a far divertire lo spettatore, fa in parte parodia di quello stesso genere a cui si ispira e cerca di inserirvi qualche elemento di contemporaneità.
Dunque non è un remake ma è comunque un erede di Invito a cena con delitto del ‘76?
Non proprio. Dagli elementi che vi ho dato capirete che punta ad esserlo e lo fa anche volendo, encomiabilmente, aggiungere un po’ di originalità e mescolando con intelligenza elementi di generi differenti. Tuttavia la sceneggiatura, a mio avviso, è nel complesso deboluccia e quindi no, non può assurgere ad erede di un film che è anche e soprattutto un capolavoro di scrittura. Inoltre Cena con delitto ha un ritmo comico molto diluito, intervallato da momenti più drammatici o da giallo vero e proprio, in fin dei conti non è nemmeno corretto paragonarli.
La situazione è questa: un ricco e anziano scrittore di romanzi gialli (Christopher Plummer) viene trovato morto. Si ipotizza inizialmente un suicidio. Per l’indagine, solo una formalità se si trattasse di suicidio, vengono interrogati nella grande casa di campagna dove l’uomo abitava tutti i componenti della sua famiglia e la sua infermiera personale. Un famoso detective privato (Daniel Craig) è presente all’interrogatorio. Da qui parte l’indagine.
L’interrogatorio, che apre le danze, è funzionale ad introdurre i personaggi e a farti entrare rapidamente nel classico ordine di idee in cui ogni componente della famiglia avrebbe avuto una buona ragione per far fuori la vittima. Rian Johnson ce lo presenta tramite un montaggio in parallelo tra i vari personaggi interrogati singolarmente e i flashback inerenti i loro racconti. Ovvero un classico, ma qui è tirato troppo per le lunghe e non funziona al meglio. Probabilmente la colpa è anche dei personaggi. Per quanto fossero tutti abbastanza intriganti, questo film avrebbe funzionato meglio con qualche personaggio di meno.
Non sono troppi in assoluto ed è comunque d’aiuto che siano tutti ben interpretati, però ce ne sono alcuni di solo contorno e questo toglie forza all’insieme. In un film corale, a mio avviso, il pubblico deve percepire la pari importanza di ogni personaggio. Visto che in questo caso diventava cosa complessa da gestire, per via di come è articolato il racconto e per il fatto che non è ambientato in un unico luogo, la scelta migliore sarebbe stata quella di tagliare sulla quantità di personaggi. Inoltre, riducendoli, avrebbero potuto sfruttare meglio il gran cast che avevano a disposizione del quale alla fine, seppure ognuno faccia un ottimo lavoro, spiccano veramente solo Ana De Armas (nota principalmente per aver interpretato la donna olografica nel sequel di Blade Runner) e Daniel Craig, anche perché, a conti fatti, sono loro ad avere i ruoli meglio caratterizzati.
Comunque dopo quelle prime sequenze introduttive il film acquista ritmo e comincia a mettere sul tavolo alcune trovate davvero geniali. Il personaggio dell’infermiera Marta (Ana De Armas) è una di queste. Cosa potrebbe esserci di meglio in un giallo di un personaggio colpevole che non è in grado (come un Pinocchio più realistico) di dire bugie?
(Di meglio, ve lo dico io, c’è solo un maggiordomo cieco che discorre con una cuoca sordo-muta.)
Tornando alla scrittura deboluccia c’è da dire che, pur non essendo un giallo, questo film necessitava d’esser scritto con le stesse accortezze di un giallo; mettendo indizi arguti in bella mostra, ma facendo in modo che passassero inosservati e che fossero immediatamente riconoscibili solo più avanti. Al pari di una rivelazione, un momento umoristico va debitamente anticipato. Un personaggio mascotte bisogna saperlo utilizzare. La nonna ultracentenaria, per esempio, è senz’altro un’eco dell’infermiera in carrozzella di Miss Marple di Invito a cena con delitto e nei pochi momenti in cui viene sfruttata funziona, ma nel resto del tempo sparisce. La forza di un film del genere sta nel non far mai scomparire nessun personaggio o quanto meno mantenere un buon equilibrio.
Per quanto riguarda l’intreccio, a posteriori mi verrebbe da premiare la scelta di rivelare buona parte dei fatti allo spettatore sin dal principio, perché è stata funzionale a creare tutte quelle situazioni divertenti che caratterizzano il film. Tuttavia durante la visione invece è stato troppo scarso il brivido del dubbio, mi è mancata una delle caratteristiche più piacevoli del giallo: la spinta ad elaborare teorie e a sforzarsi di risolvere il mistero prima che il racconto te lo sveli. Ovviamente era chiaro che ci sarebbero stati dei “colpi di scena”, ma questo non basta a spingere lo spettatore a fare elucubrazioni. L’unica cosa che avrebbe potuto servire allo scopo è stata trattata troppo velocemente, ovvero la presenza del Detective. E’ stato presentato così frettolosamente che io, quando è venuto il momento in cui questo mi avrebbe acceso una lampadina, non ricordavo già più che era stato ingaggiato da qualcuno anonimamente.
Insomma tutto il film è pervaso dallo stesso difetto: una leggera ingenuità nella composizione. Manca spesso di armonia oppure le cose non avvengono nell’ordine più corretto o non hanno il peso che dovrebbero avere. Ma è pervaso anche dall’entusiasmo del suo autore, visibile è lo sforzo compiuto per cercare di uscire dagli schemi con intelligenza. uno sforzo che in buona parte dà i suoi frutti.
D’altronde si può dire che sia proprio il suo non attenersi a delle regole canoniche che lo salva e gli dà quella freschezza che altrimenti non avrebbe avuto, quindi ben venga, nonostante sia sempre questo il motivo per cui si creano situazioni narrative di difficile gestione e quindi alcuni cali di ritmo e coesione.
In definitiva devo dire che mi sento più buona dei miei soliti standard a promuovere con un certo entusiasmo questa pellicola, ma sono contenta che non si sia sfruttato il suo illustre predecessore per un banale remake e sarei disonesta se dicessi che il film non mi abbia nel complesso divertito parecchio (e anche il resto della sala mi è parso divertirsi). Non era questo lo scopo? Inoltre non si possono non premiare quelle due o tre trovate davvero geniali che Rian Johnson è riuscito a costruire.