L'ufficiale e la spia (J'accuse) è ora in sala, un film diretto da Roman Polański, sceneggiato insieme a Robert Harris sulla base del suo romanzo del 2013, con protagonista Jean Dujardin (miglior attore con The Artist), Louis Garrel ed Emmanuelle Seigner.
Siamo a Parigi, quella stessa Parigi dove, qualche decennio più tardi, nasceva da genitori d’origine ebraica Roman Polański. Quella Parigi che la famiglia Polański si trovò a dover lasciare a causa di un sempre crescente antisemitismo. E proprio quell’affaire Dreyfus, soggetto di questa pellicola, ne fu una prima evidente e plateale dimostrazione. I Polański si trasferirono a Cracovia, città d’origine del padre, ma di lì a poco la Germania avrebbe invaso la Polonia. La madre morì nel campo di sterminio di Auschwitz.
Potrei andare avanti, questa è solo una delle ragioni per cui è impossibile non pensare che la storia che Roman Polański ci ha (desiderandolo fortemente) voluto raccontare con L’ufficiale e la spia (J’accuse), non sia in parte intimamente legata al suo vissuto personale, nel bene e nel male.
Tuttavia, permettetemi di chiudere questo passaggio ancor prima di aprirlo. Ahi, il dibattito su se sia giusto o sbagliato separare l’artista dalla sua opera! Io di questo non voglio parlare, non ora, non qui, non ho un’opinione bianca o nera e quindi so che, di questi tempi, a nessuno interesserebbe.
In ogni caso non sono una fan sfegatata dei lavori di Polański. So che è un ottimo regista e sceneggiatore, ma non mi interessano tutti i suoi film, molti non li ho nemmeno visti.
L’ufficiale e la spia invece mi interessava parecchio, volevo proprio vederlo, quindi, molto banalmente, ci sono andata.
L’ufficiale e la spia invece mi interessava parecchio, volevo proprio vederlo, quindi, molto banalmente, ci sono andata.
Come dicevo, siamo a Parigi nel cortile della Scuola Militare, è il gennaio del 1895 e un Capitano dello Stato Maggiore dell’Esercito Francese viene degradato e disonorato in una cerimonia pubblica, è Alfred Dreyfus, uno dei pochi ebrei appartenenti all’esercito. Qualche mese prima era stato condannato come traditore e spia per l’Impero Germanico. Ma Dreyfus era innocente, giudicato con un processo farsa, sulla base di prove mai verificate e per di più mantenute segrete.
Due anni dopo il Colonnello George Picquard venne assegnato all’Ufficio Antispionaggio (nel film chiamato “sezione statistiche”) e scoprì l’innocenza di Dreyfus, ma ci vollero poi un'altra decina d’anni perché fosse riabilitato nell’Esercito Francese. Nel 1899 in un secondo processo Dreyfus fu dichiarato nuovamente colpevole, ma con attenuanti e accettò poco dopo la grazia del Presidente con ammissione di colpevolezza, fu assolto e riabilitato solo nel 1906.
Due anni dopo il Colonnello George Picquard venne assegnato all’Ufficio Antispionaggio (nel film chiamato “sezione statistiche”) e scoprì l’innocenza di Dreyfus, ma ci vollero poi un'altra decina d’anni perché fosse riabilitato nell’Esercito Francese. Nel 1899 in un secondo processo Dreyfus fu dichiarato nuovamente colpevole, ma con attenuanti e accettò poco dopo la grazia del Presidente con ammissione di colpevolezza, fu assolto e riabilitato solo nel 1906.
Il dolore di Dreyfus, costretto ai lavori forzati in una colonia penale francese, viene ovviamente raccontato da Polański in questo suo film, ma non è lui il cardine del racconto. Il protagonista, quello per cui lo spettatore fa il tifo è George Picquard, il cui obiettivo non è salvare Dreyfuss, anzi gli ebrei gli stanno anche dichiaratamente un po’ antipatici, Picquard cerca la verità e non è disposto a sopportare, anche a scapito della sua libertà, che sia portata avanti un’ingiustizia.
Così L’ufficiale e la spia procede come un vero e proprio thriller in costume, l’attenzione è tutta per l’indagine che Picquard svolge, per la sua reazione quando gli viene ordinato di ignorare le nuove prove trovate, per i personaggi di rilievo coinvolti nella vicenda e per l’arretratezza (è così che appare allo spettatore) delle tecniche e dei metodi impiegati a fine ottocento dall’Esercito Francese. Interessante vedere lo squallido quartier generale dell’Ufficio Antispionaggio, la poca sicurezza o l’ingiustificata fiducia che viene affidata alla perizia grafologica in quanto nuova scienza.
Se è vero che sotto questo aspetto ci sembra tutto antiquato, ciò che invece nei metodi precorreva i tempi era senz’altro la stampa che, allora come oggi, giocava a scaldare gli animi e aizzare l’opinione pubblica e lo faceva anche tramite vignette e disegni ai quali senz’altro Polański si è potuto ispirare. La gogna mediatica era già operativa.
È bellissima nella sua perfezione la rappresentazione di quella Parigi di fine ‘800, che non è solo scenografica, ma è una vitale ricostruzione di vari ambienti e varie situazioni, in cui Polański fa banalmente accadere qualcosa e così facendo come per magia gli dà vita. Le scene, che sembrano uscire dal pennello di un artista impressionista di quell’epoca, con molti riferimenti anche palesi, non danno mai l’impressione d’esser pure didascalie per inquadrare la città e l’epoca, anche quando effettivamente è quello che sono.
La Parigi che ci mostra Polański è borghese, è fatta di manifestazioni esteriori, in un momento di prosperità, ma pure di forte contrasto ideologico manifestato tramite azioni anche violente. La città aveva fatto una bandiera con le parole uguaglianza e libertà, ma come sempre alcuni sono più uguali di altri e la libertà di un uomo è meno importante dell’immagine di un’istituzione.
Netto è il contrasto tra ciò che può accadere al riparo di quattro mura, o in un vicolo buio e ciò che accade in pubblico. Eppure un uomo può comunque essere sparato alla schiena mentre cammina per strada.
Infine critiche vere e proprie da muovere a questo film non ne ho, perché ha una sua identità ed è molto bello, ma qualche appunto è necessario.
Sarebbe stato difficile mostrare ogni aspetto di questa vicenda, ogni sfaccettatura, in unico film per cui Polański e Robert Harris (co-sceneggiatore insieme a Polański e autore del romanzo che fa da traccia al film) scelgono su cosa concentrarsi e come dicevo il film ha una sua identità ed è completo, seppur non approfondendo ogni aspetto. Per esempio risulta più carente nella rappresentazione dell’opinione pubblica, ma è una scelta probabilmente dovuta.
Inoltre non è sempre chiara la scansione temporale, motivo per cui mi ci sono soffermata ad inizio articolo. Sullo schermo compaiono le date salienti, ma questo riferimento alla fine non è sufficiente per non confondersi e non avere l’erronea sensazione che in alcuni momenti le cose si siano mosse abbastanza in fretta.
L’ultima parte poi ci porta verso un finale apparentemente sospeso. Seppur Polanski arrivi a raccontarci tutto, fino alla conclusione della vicenda, all’ottenimento della giustizia finale (che non sarà mai veramente giusta), sul finale sposta l’attenzione su un dettaglio apparentemente inutile, come a dire “ecco, ora che gli animi sono chetati si può tornare a discorrere di cose futili, a passeggiare in un parco accanto alla persona amata”. Ma è in fin dei conti una quiete illusoria, forse è per questo che il finale mi è parso così galleggiante. Anche se in questo caso non ci sarebbe niente di scorretto, così è la realtà, così è la ricerca della verità: anche se sei uno di quegli eroi che l’ha intrapresa e non è morto nel perseguirla, ogni tanto devi far finta che quella non sia l’unica cosa importante per poter semplicemente camminare in un parco.
Visto al cinema insieme ad Allen allo spettacolo dopo. Mi aspettavo moltissimo. Invece l'ho trovato lungo e abbastanza scolastico, non ho mai vissuto l'onta subita da Dreyfus. Tutto bello, tutti bravi (tranne la Seigner, un cane), però che gelo.
RispondiEliminaD'accordo sulla Seigner, che però nel personaggio non dava troppo fastidio.
EliminaPer il resto non la vedo così. Secondo me non hai vissuto l'onta personale di Dreyfus perché non era quello lo scopo. Come dicevo non è protagonista il dolore di Dreyfus. È un indagine, un indagine nemmeno fatta per Dreyfus, ma più per senso della giustizia e io questo punto di vista l'ho apprezzato. D'altronde l'empatia verso Dreyfus è il rovescio della medaglia dell'odiarlo a prescindere, la ricerca della verità e della giustizia è senz'altro più equa.
Il problema è che in questo film è davvero complicato separare l'uomo dall'opera (Polanski ci ha giocato uno scherzo beffardo...). E' impossibile infatti non vedere nel personaggio di Dreyfus la traslazione di Polanski stesso, da decenni messo sotto accusa da una storia assurda e tutt'oggi prigioniero a casa sua. Grandissimo film comunque, stilisticamente impeccabile aldilà delle opinioni personali.
RispondiEliminaSonp d'accordo che sia impossibile, ma secondo me non è perché vediamo Polanski come Dreyfus. Detta come va detta in questo film di Drryfus allo spettatore interessa pochissimo, si cala nei panni di Picquard e si gode il thriller in costume.
EliminaSulla sua sua storia giuridica non sono particolarmente informata, non ero nemmeno nata all'epoca. Comunque labsua buona parte di gogna mediatica se l'è senz'altro fatta, mi pare fu addirittura accusato d'aver provocato la strage in cui morirono sua moglie e suo figlio parlando di satanismo nel suo film Rosemery's baby... Su se le proteste di oggi siano assurde come quelle o meno non mi esprimo. La materia è senz'altro più delicata.
Io non so nulla, ma il film mi è piaciuto, mi limito a questo :)
Per poterlo vedere, dovrò aspettare l'uscita in home video, si spera che possa capitare il più presto possibile xD
RispondiElimina🤞
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